mercoledì 11 ottobre 2017

1995, IL LIBRO DI QUEL GRAN DIAVOLO DI DON SABINO...


... che all'Inferno intervista  Pietro l'Aretino

“Questo libello -raccontava Sabino Rinaldi- è stato scritto nell’agosto 1994 nella frescura del mio palazzo in Giffoni, dove mi sono  ridotto per vincere l’insolita calura di questa torrida estate, rivisitando la quasi totalità della produzione letteraria e storica riguardante il mio grande maestro, Ser Pietro l’Aretino,  un protagonista della cultura del Rinascimento, sfrenato e privo di scrupoli , definito il “flagello dei principi”, del quale mi considero l’ultimo epigono in Italia".


Sebastiano Messina, inviato di Repubblica, nel magistrale articolo del 26 luglio 1998, Don Sabino, professione comiziante a tariffa, oratore killer, azzeccò proprio  tutto sul personaggio e sulla personalità dello specialista nefrologo Sabino Rinaldi.  

GIFFONI VALLE PIANA - A MEZZOGIORNO, rimirandosi compiaciuto nel gigantesco specchio dorato del suo palazzo ottocentesco, il professor Sabino Rinaldi non vede il nefrologo, l' internista, l' endocrinologo, il riverito medico del Policlinico, il dotto ricercatore della Seconda Università di Napoli. No, in quello specchio antico il professor Rinaldi vede un altro se stesso, quella metà di sé che ama di più: don Sabino, il mercenario del comizio. O meglio, per usare le sue parole, "il Caronte dell' Inferno politico salernitano", "il fustigator cortese dei masnadieri", "il principe della politica-spettacolo". E la sera, nella piazza di una Giffoni in ghingheri per il festival, davanti a una bottiglia ben fredda di Greco di Tufo, indeciso se girarsi verso il tavolo di Giulio Andreotti o verso quello di Nancy Brilli, lui ti strizza l' occhio e ammette sottovoce: "Io sono un killer politico. Un comiziante su commissione. Faccio fuori candidati di ogni partito. Li satanizzo, li demonizzo, li distruggo. Datemi un assegno e vi porterò la testa del vostro avversario".
"Il colore politico non importa, quello che conta è che l' assegno sia coperto. Sono un vero professionista della politica". Della politica, s' intende, con la p minuscola. Il professor Rinaldi è uno che ha spogliato la politica delle ideologie e dei valori, l' ha disossata dei pennacchi e delle bandiere e poi ha preso quel che restava - le parole, gli assalti e le maldicenze - ricavandone un personaggio pirandelliano, metà attore e metà untore, un feroce comiziante al di sotto della mischia: don Sabino. Non c' è campagna elettorale, in quest' angolo di mondo, che non preveda il suo comizio. Quando il momento fatidico arriva, lui approda alla piazza sulla Jaguar che appartenne a Totò, preceduto e annunciato da Mario "' o piattone" e Geppino "' o grancasciere". Poi sale sul palco in tutta la sua imponente, colossale, monumentale eleganza: indossa il frac e il cappello a cilindro del comandante Lauro, porta i guanti bianchi, la sciarpa di seta e il bastone d' argento. Dal suo corpaccione possente parte uno sguardo infuocato e magnetico, preludio alla ballata delle parole. "Plebe!" tuona, e la folla lo acclama. "Teppaglia!" continua, e quelli applaudono più forte: quanti comizi ipocriti e barbosi varrà un solo show di don Sabino? "Popolo! Stasera io sarò Caligola, l' imperatore romano dall' animalità divorante, e voi sarete le belve feroci alle quali darò in pasto le mie vittime!". Il suo vocione tonante scaglia parole acuminate, impeccabili battute in latino e dotte rime in versi zoppi. Don Sabino cita a memoria Catullo e il marchese de Sade, mescola la retorica dei classici e il pettegolezzo dei contemporanei, intreccia maliziosamente la politica col sesso. Una volta impersona il conte Ugolino e un' altra fa Gerolamo Savonarola, una sera moraleggia e la sera dopo infila nel comizio brandelli di storie piccanti, racconti di belle signore che cambiano partito insieme all' amante segreto e aneddoti di ministri che vanno in giro nei locali notturni scambiando per nobildonne le puttane dei quartieri spagnoli. Ma tutte le volte arriva al dunque, rovesciando sulla malcapitata vittima il suo carico di fango, insulti, calunnie e sberleffi, puntualmente concluso dalla formula rituale: "Stasera come Caronte ti batto con il remo mentre ti adagio nell' inferno: Papé Satan, Papé Satan, Papé Satan aleppe!". Essendo "un professionista della politica", il suo tariffario è preciso. Un comizio alle comunali di Giffoni vale due milioni. Un discorso a Salerno per le politiche costa cinque milioni, ma la tariffa può salire fino a venti milioni per una campagna denigratoria nell' intera provincia. Cifre trattabili, s' intende. Nel senso che don Sabino accetta anche pagamenti in natura. Alle ultime politiche un noto industriale della pasta di Salerno l' ha ricompensato con una fornitura vitalizia di rigatoni, trenette e fusilli. E alle comunali di Eboli il suo appoggio a un candidato sindaco è stato pagato con un quintale di mozzarelle di bufala, credito che lui ha incassato a rate da tre chili. "I nomi? Non li dico. Un killer che si rispetti non rivela mai chi è il mandante. Diciamo che invoco il segreto professionale". Il suo regno, il suo territorio, va da Giffoni a Eboli, da Cava dei Tirreni a Battipaglia, ma la sua piazza preferita è quella di Salerno, piazza Portanova. Il palco lo paga il committente, il partito ce lo mette lui. Si può scegliere tra la Lega delle Leghe, Democrazia Sociale e la Lista del Gallo, ma qualche volta lui sostituisce il simbolo del partito con il capolavoro del pittore Tesauro, il cui titolo (davvero didascalico) è "Il culo di Carolina", emblema a sentir lui della faccia di certi politici. La prima volta - era il 1983 - si candidò seriamente, e davvero credeva di poter diventare l' onorevole Rinaldi. Prese appena duemila voti, e capì che era inutile insistere. Perciò cambiò ruolo: da candidato dilettante a comiziante di professione. Ha colpito e affondato candidati di destra e di sinistra: un medico l' ha bollato come "velenifero cobra", un deputato l' ha evocato come "una vecchia baldracca della politica", un funzionario comunale l' ha apostrofato "satrapo e uccellatore", un amministratore della Usl l' ha ridotto a "untorello di paese", a un banchiere ha detto che è "avaro come Reginaldo degli Scrovegni". Ha parlato contro la Dc e contro il Psi, contro An e contro il Pds, contro il Polo e contro l' Ulivo, contro questo e contro quello. E a favore, imparzialmente, di chiunque pagasse. "Una volta, a Pontecagnano, ho fatto prima un comizio contro un candidato sindaco, demolendolo, poi la sera dopo un altro in cui ne tessevo lodi sperticate. Vidi che la gente si meravigliava, ma io me ne fregavo: avevo in tasca il denaro di quell' uomo". Dell' opinione della gente, del resto, lui non s' è mai curato granché: sfidando tutte le superstizioni, una volta ha stampato un libretto il cui "sponsor ufficiale" era nientemeno che "la premiata ditta di trasporti funebri internazionali Bellomunno di Napoli". Ma cosa ha spinto un medico affermato, un cinquantenne benestante, un colto professionista che all' università di Napoli detiene ancora il record ottenuto quand' era studente (20 trenta e lode consecutivi), un rispettato notabile di provincia al quale tutti invidiano le citazioni a memoria di Cicerone, Orazio e Virgilio, a indossare il frac e il cappello a cilindro del killer da comizio? Il denaro c' entra poco, nonostante le apparenze. E anche se lui rivela che "la stagione d' oro è stata quella di Tangentopoli, nel ' 92 feci più di 50 milioni", il professor Rinaldi non mente quando giura che non ha bisogno di quei soldi. "Lo faccio per il mio gusto, per la soddisfazione di veder apprezzata la mia arte oratoria, il mio genio satanico. Il mio modello è Pietro l' Aretino, che da una penna e un po' d' inchiostro sapeva ricavare borse piene d' oro". Eppure il premio che questo artista del comizio su commissione ha incassato più volentieri non era in moneta corrente, non era un assegno e neppure un carico di latticini. "Accadde nel ' 92, l' anno d' oro. Un notabile del Pds mi commissionò una campagna contro un suo compagno di partito che voleva diventare onorevole. Tu portami la sua testa, mi disse, e avrai cinque notti in un albergo di via Veneto, cene pagate da Fortunato al Pantheon e una prostituta da un milione. Io feci il mio lavoro, quello non venne eletto e il notabile onorò la promessa. Fino in fondo: un vero signore". Parola di don Sabino,  genio del male nel girone dei comizianti".

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