sabato 21 marzo 2020

Omaggio a Gianni Mura

                    Giornalista (grande), enigmistico (anche)


  (anagrammatico e calembour-homme (pure) 

Il numero dieci o la fantasia

di Gianni Mura da Smemoranda 2000

IO. Il mito della maglia numero 10, che si può leggere anche come affermazione dell’ego. Oggi i numeri di maglia li decide l’ufficio marketing, ma per tutto il secolo li ha decisi il talento del giocatore e il riconoscimento del suo talento era nella consegna della maglia numero 10. I migliori 10 del secolo sono tipi che segnano e fanno segnare (sognare, anche), sanno dribblare e lanciare. Hanno un bel tiro, a volte usano un solo piede. Ai bambini i tifosi danno il loro nome, la Francia è piena di Michel e Napoli di Diego Armando. Ma tagliamo corto e parliamo di loro. Alfredo Di Stefano aveva il 9 sulla maglia, come del resto Bobby Charlton e Nandor Hidegkuti, ma giocava da 10. “Il campo nasceva dai suoi piedi” ha scritto Eduardo Galeano della Saeta rubia, la Freccia bionda. Non riuscì mai a disputare un mondiale. Nel giardino di casa ha costruito un piccolo monumento alla palla e sul basamento c’è scritto: gracias, vieja. Mariolino Corso aveva l’11 sulla maglia, ma solo perché il 10 era di Luis Suarez, galiziano instancabile, comprato nel ’62 dall’Inter di Moratti e subito capace di dare un senso a tutto quanto, coi suoi lanci di 50 metri. Corso, veronese lunatico, usava il destro solo per camminare e col sinistro disegnava punizioni a foglia secca. è il participio passato del verbo correre, scrisse Gianni Brera. In effetti Corso aveva la velocità del bradipo, ma piùeleganza, e quando aveva voglia di giocare non lo fermava nessuno (non sempre aveva voglia). Pelé è stato il primo 10 a entrarci negli occhi via tv. Prima ai mondiali del ’58, in Svezia (aveva 17 anni), poi a quelli del ’70, lui e Burgnich che saltano insieme, Burgnich che torna coi piedi in terra, Pelé che resta in aria e segna all’Italia, poi accolta a pomodorate per via della staffetta fra Mazzola e Rivera (il piùclassico dei nostri 10). Il governo brasiliano nominò il ventenne Pelé patrimonio nazionale, come una chiesa o una foresta. Vietata l’esportazione. è stato un vero e proprio genio del calcio, bravo anche a fine carriera come attore e come ministro dello sport. Per evitare paragoni scomodi, suo figlio ha deciso di giocare a calcio, ma da portiere. Zico è stato chiamato il Pelé bianco. Meno atletico nel fisico, tiro micidiale, ha fatto grande per quanto poteva l’Udinese. Come Pelé, va ricordato per la grande lealtà in campo. E così Michel Platini, detto le roi come Pelé era o rey. Poco atleta, in apparenza, la sigaretta spesso in mano, ma con un senso dei tempi da sublime direttore d’orchestra. Spiritoso e capace di sdrammatizzare il calcio, si capiva che avrebbe fatto strada. Capo dell’organizzazione dei mondiali del ’98, gran consigliere del presidente della Fifa, Blatter, che ha molto bisogno di buoni consigli, oppure il calcio ha bisogno che Blatter si dia al giardinaggio, ma questo è un altro discorso. Il miglior confronto fra 10 lo abbiamo avuto con Platini alla Juve e Maradona al Napoli. Lo Champagne contro la Coca (non solo Cola), il valzer musette contro il tango figurato, la sdrammatizzazione contro la drammatizzazione estrema, l’ironia del francese contro l’allegria dell’argentino. Si sono sempre stimati, da anime diverse capaci però di ottenere il massimo dal pallone e di dare il massimo aiuto ai compagni, il massimo divertimento ai tifosi. Ma in questo caso a tutti. Un dribbling, una punizione liftata, un’apertura geniale sono il sale e il sole del calcio. Il gol più bello il 10 Maradona lo fece in Messico all’Inghilterra, metà campo in 10 secondi toccando 10 volte il pallone e scartando cinque avversari. Nella stessa partita, angelico e diabolico, Maradona segnò anche un gol con la mano. Il vecchio 10 da noi è Baggio, il giovane 10 Del Piero. Il mio 10 è Zola, mi piacciono i miti miti (plurale di mite) anche se hanno sulla schiena il 25.



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